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Uno degli album più Venduti del 2017…vi presento “Folfiri o Folfox”

Voglio essere felice e non me ne frega più un cazzo se è la cosa più banale del mondo” ecco come Manuel Agnelli esordisce parlando di “Folfiri o Folfox”  doppio cd uscito il 10 giugno 2016  che presenta uno stile un po’ diverso rispetto ai precedenti lavori della storica band milanese.
Malgrado lo shock di vederlo incarnare la figura di giudice all’interno del celebre talent-show X-Factor, l’ultimo album  si rivela  unico nel suo genere in quanto presenta caratteristiche di similitudine, ma allo stesso tempo un evidente distanza nel paragone con la produzione artistica precedente.

Da “Grande” a “Lasciati ingannare (una volta ancora)” le tracce si susseguono lungo un viaggio intimista, dato che non stupisce: tutti i fans degli Afterhours sanno che la profondità è sempre stata marchio di fabbrica del gruppo. A lasciare a bocca spalancata è invece l’ “apertura” improvvisa che Manuel Agnelli regala ai propri fans: non siamo più di fronte all’ermetismo frutto della tecnica “cut-up”; i testi risultano ben chiari e delineati, si capisce che Manuel ci parla di sé e della propria vita in prima persona e senza veli. “L’odore della giacca di mio padre” è una ballad che parla in maniera evidente della scomparsa del padre  e lo fa con una dolcezza inaspettata, ma  al contempo pregna di dignitoso distacco. Non siamo di fronte a qualcosa di melenso e il suono straniante della tromba che, improvvisamente, arriva a distorcere la melodia, descrive più di ogni altra cosa la sensazione che si prova di fronte all’inspiegabile.
Ti chiedi se hai risposto ai suoi occhi con i tuoi” canta Manuel, so navigare nel panico solo…”.
Questo incredibile viaggio dentro l’anima prosegue al ritmo di un pianoforte che scandisce le parole quasi come un gioco infantile, ma quel “Si lo so che tu, resti dentro di me” è la cifra della maturità per eccellenza, il momento in cui il bambino resta solo al mondo, con tutto ciò che il genitore ha lasciato in lui.

San Miguel”, traccia numero 6, è una sorprendente track dal sapore strano, quasi un mantra. La ripetizione del nome “San Miguel” riporta al misticismo, una sorta di preghiera che prosegue così: “…ho il tuo amore che mi protegge”. Una traccia, questa, che in lingua germanica verrebbe definita col termine unheimlich; ovvero “perturbante”, quel qualcosa che è allo stesso tempo “familiare”, ma così strano da creare l’effetto opposto e quindi incutere una sorta di disagio e di straniamento. Questo mix, questa contraddizione ci fa sentire che gli Afterhours sono ancora loro al 100% e che l’introspezione esistenziale è solamente un mezzo per regalarci un pezzo della loro stessa vita. “Il leone non teme lo sciacallo in una terra di predatori” annuncia Manuel più volte, facendoci sentire vicini a lui. Quando parliamo degli “After” ci troviamo di fronte non soltanto a una delle migliori band del nostro panorama musicale, ma di un vero e proprio gruppo che ha marchiato a fondo un’intera generazione.

La loro discografia racconta la nostra società come neanche mille enciclopedie saprebbero fare. Il senso d’abbandono lasciato da un padre che se ne va, è una storia che riguarda tutti noi. La fascia generazionale che va dai 30 ai 40, gli orfani di uno stato che ci ha fatti diventare “bambinoni”, che ci ha impedito di maturare e che ci lascerà, forse, senza nemmeno una pensione… Tutto questo ci fa sentire orfani, ci fa sentire vagabondi. Noi cresciuti con aspettative enormi, viziati ed egocentrici ascoltavamo “Male di miele” a 17 anni sentendoci “fighi”, pronti a sfidare il mondo. Avevamo davanti prospettive incredibili, dovevamo intraprendere professioni “apocalittiche”.
E invece siamo rimasti qua…e a trenta, come quaranta, spingiamo “Play”, non più sul lettore cd, non più sul registratore, ma su un mp3 che è simbolo di una rivoluzione solo esterna, superficiale.

Andiamo avanti immobili, alla ricerca di “Qualche tipo di grandezza”: questo il titolo del brano numero 7 dell’album “Folfiri o Folfox”, uno dei pochi brani che rimanda ai vecchi lavori. “Il male che vedi è il male che hai dentro te”, riprende esattamente le tematiche della succitata “Male di miele” così come “Ballata per la mia piccola iena”.
Opportunismo, ricerca di grandezze deviate da compromessi, amori liquidi senza “lieto fine”, rabbia e aspettative tradite:questo è il modo in cui Manuel Agnelli vede l’amore al giorno d’oggi e ce lo trasmettere con incredibile energia e pathos emozionandoci fino alle viscere. La strumentale “Cetuximab” sorprende e scombussola, mentre “Lasciati ingannare (ancora una volta)” è la ballad finale che giunge come quei racconti di Stephen King che, all’interno di una raccolta, sembrano non centrare nulla rispetto agli altri, ma che sono la “perla di Labuan”, la chicca da assaporare piano. L’album numero 1 si chiude, ma già si assapora il gusto con cui si vivranno questi brani dal vivo!

Oggi”, apre il cd 2 e la timbrica di Agnelli è emozionante fin dalle prime note. “Folfiri o Folfox”, brano che regala il titolo all’album in sottofondo è scandito dalla campionatura di tuoni che -a ritmo- si muovono su note originali e ribelli. L’argomento principale è la lotta contro la malasanità. Sperimentazioni, groove, sarcasmo all’ennesima potenza: un mix potente e geniale! “Fa male solo la prima volta” potrebbe ricordare “Tutto fa un po’ male”, ma il cantato-recitato ci parla di una delusione amara quanto fresca.
“Né pani né pesci”, ricorda nel suo intro “Quello che non c’è” e l’humus del testo è della stessa fattura e profondità di quel brano-manifesto che sempre rimarrà dentro noi.
“Abbracciati a quel che hai, nessuno ormai porterà né pani né pesci”: Manuel nei miracoli non ci crede più, è evidente come anche il brano finale del secondo cd “Se io fossi il giudice” ci comunica.

Non c’è vittimismo, ma anzi una ritrovata voglia di alzarsi, pur con la consapevolezza che la forza va trovata in sé senza alcuna aspettativa esterna verso gli altri e il mondo.
“Ognuno ha un modo di abbracciare il mondo, il modo che ho è soffrire fino in fondo libero di non essere più me, libero di non piacerti più, libero di buttare tutto via…” è una frase che esprime un concetto di rara altezza. L’album si conclude con questo brano splendido e commovente confermando che la musica è davvero l’unico miracolo rimasto!

 

 

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